Comunicare bene, comunicare meglio!

Marzo 2024

La comunicazione di base appare fin troppo semplice, c’è un messaggio che deve partire da chi lo invia e arrivare a chi lo riceve. Facile, no? Questo è chiaro a tutti, anche i più piccoli, che ancora non sanno mandare dei veri e propri messaggi verbali, ma sanno mandare delle comunicazioni.

La parte difficile è che ci sono tante parti difficili.

Partiamo dal primo attore, ovvero quello che deve inviare: per prima cosa si deve chiedere quale linguaggio utilizzare, che sia verbale o non verbale, è fondamentale che si utilizzi un mezzo che il ricevente conosca, se parlo in italiano ad una persona che non conosce questa lingua che cosa capirà? Potrà rispondermi?

L’altro pezzetto fondamentale è il messaggio stesso, è chiaro che, oggi voglio parlarvi di un dialogo specifico, quello che porta con sé le emozioni, gli stati d’animo e i desideri che intercorrono nelle relazioni affettive. In questo caso la domanda che dobbiamo porci è: qual è lo scopo della nostra comunicazione? Sappiamo che a volte quando parliamo con i nostri figli intercorrono dei sentimenti profondi, a volte di entusiasmo, altre volte di disappunto. La gestione di queste ci aiuta a spiegarci meglio.

L’esempio lampante è un genitore esausto che vuole capire che cosa è successo e perché suo figlio sta piangendo, ma quando domanda: come posso aiutarti? Dimmi qual è il problema? Lo fa urlando esasperato. 

Un altro esempio è un genitore di un figlio adolescente che per l’ennesima sera rientra tardi, lo sta aspettando sveglio sul divano, stanco e preoccupato. Vuole capire perché non rispetta gli orari stabiliti, perché non avvisa se ci sono degli imprevisti… E, invece di cercare di capire quali siano le ragioni con calma, aprendo un dialogo, lo punisce mandandolo in camera sua e non facendolo uscire per una settimana. 

In questi due casi le urla e le punizioni passano sopra a qualsiasi messaggio, possiamo avere anche tutte le buone intenzioni, possiamo desiderare crescere questi uomini e donne del futuro in modo autorevole e consapevole, ma un bambino a cui si urla, finirà per urlare più forte e un ragazzo a cui si impedisce di parlare, finirà per chiudersi in camera sempre più spesso. 

Qualsiasi sia la domanda o l’affermazione che vogliamo mandare con il nostro messaggio, quindi, è necessario che porti con sé un “substrato”: sono qui per comprendere quello che stai provando, quello che è successo, senza giudicarti, senza il timore che per questo motivo io possa amarti meno.

Ciò non implica che tutto sia permesso, anzi, può e deve essere un’apertura al ragionamento, sia per il genitore che per il figlio è necessario lo sforzo di empatia e il desiderio di trovare un compromesso.

Il secondo attore, fondamentale per la comunicazione è chi riceve il messaggio. Altrimenti non esisterebbe la reciprocità fondamentale in questo contesto. Il messaggio, infatti, deve arrivare in modo chiaro e puntuale. Più è carico di concetti, parole, emozioni forti più sarà complesso decodificarlo. Ed ecco apparire le incomprensioni. 

Chi riceve deve sentirsi accolto e amato nonostante quella che possa essere la sua idea, la sua emozione, il suo vissuto. Garantire questa sicurezza ci permette di aprirci con più sincerità, a volte dire anche quelle “cose scomode” che, soprattutto gli adolescenti tendono a mascherare con la fatidica frase: “ma tu non capisci!”.

Non ho la presunzione di insegnarvi la comunicazione, anche perché ultimamente mi sono accorta che dialogare con tanta carica emotiva è uno degli aspetti più difficili e complessi delle relazioni affettive. E molto spesso mi sento di fallire, anche cercando di seguire quelli che sono i miei stessi consigli per voi.

Tanto che, sia che siamo nel ruolo di chi invia, sia che siamo nel ruolo di chi riceve, possiamo creare tutte le condizioni favorevoli alla buona riuscita del dialogo, ma non possiamo controllare l’altro attore della conversazione. 

Spesso, soprattutto tra adulti, ci si trova di fronte a qualcuno che ci “fa muro”, qualcuno di evitante, i motivi possono essere svariati, certo è che più abituiamo i bambini e i ragazzi al dialogo sincero, più da adulti sapranno gestire anche quelle conversazioni più scomode, difficili.

Non mi piace parlare di regole per una comunicazione efficace a tutte le età, credo che sia molto più importante parlare di predisposizione al dialogo. Quali sono gli ingredienti fondamentali?

ASCOLTO: accogliere le idee e le emozioni di chi ci sta di fronte spesso può scatenare in noi altrettante idee ed emozioni, dare spazio di spiegarsi all’altro, dargli il tempo, permettere anche quei momenti di silenzio per riflettere su ciò che si è detto o si è sentito, è un regalo che possiamo fare, più l’altro può elaborare i pensieri senza sentirsi attaccato, più non dovrà trovare il modo di difendersi mettendo in atto delle vere e proprie scappatoie e chiusure.

SPAZIO: può sembrare banale ma ogni argomento che si tratta ha un suo spazio, ci sono conversazioni che si possono fare anche in metropolitana, altre, invece, è bene che abbiano un luogo sicuro. Mettersi comodi su un divano, bere un tè insieme, passeggiare al parco, sdraiarsi insieme sotto le coperte possono comunicare il: adesso sono qui per te, ci siamo solo noi. Anche banalmente mettere via il cellulare, spegnere la tv, ci possono dare questa sensazione.

TEMPO: iniziare un dialogo proprio mentre si sta andando via, mentre si sa già che c’è un orario in cui va “chiuso”, restringe di molto le possibilità di vagare intorno all’argomento, di porre domande, di trovare delle soluzioni che vadano bene a tutti. Siamo sempre di corsa, e se invece di parlarne mentre si va a scuola, si dedica una serata al parlarsi? 

MODALITÀ: a volte è di certo necessario scambiarsi messaggi o telefonate, talvolta però questo compromette un aspetto importante che ormai diamo per scontato: il contatto. Stare vicino ad una persona ci aiuta a carpirne gli stati d’animo che altrimenti non potremmo vedere, i rossori sul viso, gli sguardi intensi, le palpitazioni. E poter “intervenire” con una carezza, un abbraccio, un bacio…

EMPATIA: questa dannata empatia ce la ritroviamo ovunque! So che lo avete pensato… Ascolto, spazio, tempo e modalità ci portano proprio a creare un “sentire insieme!”, più scegliamo di farci coinvolgere dall’altro più ne sentiremo i vissuti, le emozioni, le sensazioni. Non dobbiamo vivere la vita al posto loro, ma possiamo sostenere quello che fa star bene l’altro, che lo possa rendere felice, che lo possa rasserenare.

PIANGERE: l’ho volutamente lasciato per ultimo, ma non per importanza. Questa reazione è una delle più spontanee e allo stesso tempo complesse a cui ci possiamo trovare di fronte o viverla in prima persona. Sembra che piangere sia una cosa da bambini, ma in realtà è importante normalizzarlo tra gli adulti. Piangere è sciogliere una tensione interna che altrimenti non ci permette di esprimerci come vorremmo. Essere arrabbiati fino alle lacrime, piangere dal ridere, lacrime di gioia, pianto disperato. Quando qualcuno piange impariamo a concentrarci su ciò che ci vuole dire e non tanto sul fatto che sta piangendo, infatti se chiediamo di smettere di piangere, o di essere forte perché così mostri la tua debolezza, è una forzatura che all’altro fa credere di star facendo qualcosa di sbagliato, di essere lui sbagliato.

Ho scritto tanto e come sempre non ho magiche soluzioni per risolvere i problemi di genitori e figli di qualsiasi età. Ma credo che poter ri-leggere tutti questi aspetti che spesso diamo per scontati, ci possa mettere nella condizione di ri-elaborare e aggiustare il tiro nel dialogo con tutti.

Se tutti sappiamo comunicare, perché non provare a comunicare bene, comunicare meglio?