Regole, premi e punizioni!

Novembre 2023

Mentre scrivo questo articolo i telegiornali sono pieni di servizi che raccontano la violenza, che sia essa una guerra, un omicidio o un maltrattamento. La notizia dei femminicidi, le manifestazioni contro la violenza sulle donne, i dibattiti politici sul “fare educazione all’affettività nelle scuole” sono i temi caldi di questo periodo che dovrebbe, invece, per antonomasia essere un percorso di preparazione a quella che è la magia del natale. 

In quanto donna mi sono trovata spesso a sentirmi dire di non tornare a casa da sola la sera, di fare attenzione quando prendo i mezzi pubblici, di parcheggiare il più vicino possibile al portone di casa, di sentirmi dire dalle amiche: “scrivimi quando sei a casa” con quel significato intrinseco del “quando sei al sicuro, posso smettere di essere preoccupata!”, mi è capitato molto più spesso di quanto si possa pensare di aver ricevuto un cat-calling mentre ero sul mio motorino ferma al semaforo con il casco, la giacca pesante, per il solo fatto di essere donna, o mentre attraversavo la strada.

A prescindere da quanto una notizia diventi mediatica e quanto questa serva a sensibilizzare le persone, mi domando che cosa significa essere donna, ma non solo, provo a spostare l’attenzione su quei genitori che si sentono in dovere di proteggere una figlia, o quelli di dare una buona educazione ad un figlio. Provo anche a chiedermi che cosa significhi essere un uomo, un padre, un marito, che ascolta queste notizie dove si fa spesso di tutta l’erba un fascio e di come la “categoria maschile” sia a prescindere “cattiva”, nonostante molti di questi sanno amare e prendersi cura nel modo “giusto”.

Utilizzando il virgolettato come se, nel mondo della crisi valoriale e culturale, ogni parola possa essere fraintesa, mi chiedo quale sia la chiave di lettura utile per migliorare, nel mio piccolo, il mondo di oggi. 

I diversi approcci educativi e pedagogici che si hanno a disposizione oggi non vanno mai presi tutti alla lettera e soprattutto non bisogna mai credere nel sentito dire, a volte chi crede e applica un’educazione più tradizionale, trova il termine “pedagogia dolce”, un metodo che non ha regole o confini. Chi, invece, si dichiara un genitore innovativo e che vuole mettere in pratica i consigli di una pedagogia all’avanguardia, inorridisce davanti a chi di chi dichiara di credere in un’educazione tradizionale come sinonimo di sgridare ed utilizzare la “violenza”.

Essere informati è la regola delle regole. 

Ho divagato per dare un quadro di quello che si sta vivendo oggi, ma torniamo ora al vero argomento del nostro editoriale. È essenziale partire dall’educazione dei bambini per poter garantire un mondo dove la violenza diminuisce e la cultura sia delle pari opportunità e del rispetto per gli altri. 

Dare delle regole chiare è necessario ai bambini. Saper dire di NO, saper rispettare quel NO. Avere un limite invalicabile serve ad avere rispetto per se stessi e per gli altri. Questo aspetto, però, che letto in modo così categorico sembra dover per forza essere dominato dalla paura, non si ottiene con una punizione o con un premio. 

Il discorso è molto ampio e difficile da spiegare in poche righe, per questo consiglio la lettura di un testo che può chiarire e aiutare ad ampliare questo discorso: Nè con le buone né con le cattive - Thomas Gordon - edizioni La Meridiana. 

La punizione si basa sulla paura e sul timore che il bambino ha nei confronti della figura adulta, non solo di ricevere una punizione fisica (schiaffo o sculacciata) ma anche una non-soddisfazione dei propri bisogni fisiologici (vai a letto senza cena!) e di quelli affettivi (se non lo fai non ti abbraccio!, riletto come il “non ti voglio bene”). Una volta che il bambino cresce abbastanza da potersi ribellare, o non sentire più quel male fisico (un ragazzo che diventa più alto, muscoloso di un padre violento, che può permettersi di scappare andando a vivere fuori di casa) il controllo del genitore finisce e quel ragazzo avrà imparato ad utilizzare la violenza su chi è più debole di lui per ottenere ciò che desidera, e questo è il principio del tanto temuto bullismo di cui si parlava all’inizio del millennio. Nello stesso modo, una volta che potrà soddisfare i propri bisogni fisiologici altrove, (banalmente alzandosi di notte mentre i genitori dormono per andare in cucina e aprire il frigorifero per sfamarsi) e quelli affettivi trovando in altre figure nella società quel desiderio di amore incondizionato (un professore, una nonna, un partner) il genitore perde la propria autorità.

Il premio nello stesso modo da una motivazione al comportamento del bambino: faccio bene per ricevere il gioco, la merenda o l’affetto. Ma se poi quel premio non gli viene riconosciuto? Che cosa succede? Con grande probabilità lo pretenderà (grandi scenate, “capricci”, urla), oppure se lo prenderà da solo (se tu non mi ami più allora ti faccio del male, o faccio del male a me stesso).

Ho tentato di non dare giudizi sul giusto e lo sbagliato, proprio perchè credo basti leggere ciò che è scritto per renderci conto che queste tecniche non possono funzionare per sempre, ma solo nel momento in cui esiste un controllo autoritario. 

Come risolviamo il problema? 

Non è affatto semplice, poiché non sempre si ha tutto il tempo di stare a ragionare con il bambino sul perchè è importante fare o non fare una determinata azione, e spesso, se i bambini sono molto piccoli è difficile che abbiano un’astrazione tale da capire che studiare serve per garantir loro un futuro. Ma allenando fin da piccoli il ragionare insieme, il prendere delle decisioni, il fare scelte condivise è possibile avere un dialogo, imparare a comunicare, non solo quelle che possono essere delle opzioni materiali, ma anche saper parlare di sentimenti, accettare quello che è il proprio limite, le regole sociali, sapersi sottrarre dai vincoli ricattatori, permetterà all’adulto del futuro di poter attuare sempre una scelta, la migliore per la propria vita.

Concludo con l’affermare che la sensibilizzazione a queste tematiche, il dedicare del tempo nel percorso scolastico a dialogare sull’affettività è sicuramente un passo importantissimo per una buona educazione e per la garanzia di un futuro migliore, ma non basta, bisogna partire dalle case dei bambini e dei ragazzi e dal lavoro che ciascuno di noi, nel proprio piccolo può fare.